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lunedì 17 agosto 2009

Questioni migranti - art. 3

Intercultura

Vorrei sgomberare il campo (va tanto di moda nella nostra città..) da un equivoco che la mia rubrica potrebbe suscitare. Prendo spunto dall'ultimo post di Linda, che recensisce un libro dell'impareggiabile Kapuściński e quindi tornare un attimo sul tema della multiculturalità e dell'interculturalità. Il post mi è piaciuto e proprio per questo vorrei richiamare la questione della relazione con l'Altro.

Quando si parla di relazione con una persona di un'altra cultura, siamo indotti a pensare (dai media, dai nostri schemi mentali e dal discorso pubblico dominante) che si tratti di una persona proveniente da un altro Paese, identificando così "cultura" con "luogo" e "provenienza".

Se ben ci pensiamo, invece, i nostri problemi di interazione con altre culture, sono dati dalla complessità del mondo che viviamo e non dall'impatto delle migrazioni sulla nostra società.
Per fare un esempio, se incontro una persona che mi dice di credere fermamente nell'oroscopo, cui io non credo, dovrò necessariamente fare uno sforzo per capire per quali motivi questa persona vi creda, quali esperienze l'abbiano portata a credervi e con quali prospettive. In altri termini, il dialogo interculturale non è facile. Richiede intelligenza ed energie, che bisogna avere e, soprattutto, voler investire.

Per fare un esempio più forte, molto spesso mi capita di avere un sacco di cose in comune con donne migranti che con uomini della mia stessa città, che magari votano Lega oppure frequentano la curva dell'Hellas.
C'è spesso la cultura di genere, dunque, in gioco, ma non solo. L'espressione "cose in comune" è ancora molto imprecisa. Intendo dire che riesco a capire, a mettermi nei panni, a comprendere i processi mentali alla base delle singole scelte della migrante, in questo caso, mentre non riesco ad immaginare cosa stia avvenendo nella mente del fascista, per esempio quando mi dice che gli assassini di Tommasoli erano e sono, in fondo, dei brai butei (e, davvero, mi è capitato).

Insomma, la relazione con altre culture è dialogo ed incontro, ma molto spesso anche scontro (ed in questo non sono d'accordo con Kapuściński), da saper gestire e sfruttare, anche, saggiamente, ma non da evitare, altrimenti continueremo a rimanere culture distinte, io e quel fascista.

Non possiamo (e non dovremmo) scegliere con quali culture incontrarci/scontrarci: si tratta solo di avere in mente che di fronte abbiamo un essere umano, da trattare sempre come fine e mai come mezzo, come insegna Kant, con cui cercare di condividere dei punti di vista. Certo, questo non sempre è possibile.

Di conseguenza, se nello spazio delle questioni migranti parlerò di culture, vorrà dire che mi sono sbagliata. Non credo esista "una cultura italiana", è solo una banalizzazione della ricchezza del nostro Paese: analogamente, credo che non esista "una cultura cinese" o "una cultura albanese". In genere, preferisco parlare, appunto, di esseri umani singolarmente presi con la loro esperienza e storia di vita ed il loro personalissimo punto di vista sul mondo.

1 commento:

Alain ha detto...

Condivido. Da parte mia cerco di considerarmi cittadino "del mondo", non di una nazione(o di una cultura). Credo che eliminare, per lo meno mentalmente, ogni frontiera politica e geografica sia il miglior modo per stabilire il dialogo tra due parti di cosiddette "culture diverse". Pensarci attori di uno stesso film non può che regalarci conoscenza, sapere, amicizia, pace.

Multumesc! (http://www.ciscovox.it/mp3/mp3.php?iddownload=14)

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